Quando un giornale o una Tv “vende” la sua libertà di espressione barattandola con contratti pubblicitari, non merita più il consenso dei lettori. Non di quelli che si professano “liberi”.
E’ deprimente sfogliare le pagine di alcuni quotidiani o ascoltare taluni Tg e non trovare notizie importanti, oppure trovarle “rimaneggiate”, “decurtate” della loro essenza primaria, cioè “la notizia”. Come può un Editore piegarsi a queste bassezze da mercatino clandestino, scegliere di umiliare il buon nome di una Testata in cambio di denaro? Concordo con il fatto che sia la pubblicità a tenere in piedi un giornale, ma da qui a manipolare l’informazione oscurando le verità o “dimagrendole” affinchè perdano la loro efficacia sull’opinione pubblica è offensivo verso i lettori, oltre che verso se stessi.
Ricordo con fierezza e orgoglio quando rifiutai, insieme al Direttore Responsabile e all’Editore, l’ipotesi di prendere denaro sotto forma di contributo per il quindicinale che impaginavo (L’Occhio) da parte di Enti locali, Provinciali e Regionali. E ricordo con altrettanta fierezza la “condicio sine qua non” con la quale concedemmo uno spazio pubblicitario all’Amministrazione Comunale, e che metteva in chiaro come persino nella pagina accanto poteva essere messo in discussione il suo operato.
Oggi troviamo, ancor più che nel passato, buona parte delle testate giornalistiche che sembrano essere portavoce di “questo o quel personaggio”, di “questo o quel partito”, dando le notizie sempre dalla stessa angolazione, talvolta accentuandole, talvolta sminuendole, altre ancora ignorandole. E la cosa triste e che non si parla di “Bollettini” ufficiali di partiti o di associazioni, ma di giornali venduti nelle edicole e dai quali i lettori prendono e apprendono le notizie, si fanno un’idea delle cose, consolidano o cambiano opinioni.
Che tristezza! Ogni cosa è diventata “spartizione” tra potenti e potentati. Ogni cosa è diventata “merce” di scambio. Ogni libertà è sotto continuo attacco e, molto spesso, soccombe al nemico.
Mi vengono in mente le parole di mio padre, che quando non ne poteva più del vergognoso andazzo delle cose, diceva “Ah! Stavamo meglio quando stavamo peggio!”. E come dargli torto?
Un tempo eravamo “liberi”…
Giancarlo Aspromonte > Riflessioni Spettinate > Un tempo eravamo “liberi”…