Fino a quando un gesto di riverenza sarà il frutto di una sottomissione e non una dimostrazione di rispetto nei confronti di chi quel gesto lo merita sul campo con le sue azioni e con i suoi comportamenti, nessun cambiamento potrà essere considerato tale, nessuna libertà potrà mai essere sventolata come bandiera di un Popolo, né tantomeno come orgoglio personale.
Ho osservato da più tempo come si viva in uno stato di “paura” che impedisce di esprimere anche la più sciocca delle considerazioni in assoluta libertà per il timore di ritorsioni, e nonostante tutto ciò mi faccia avvertire una forte mortificazione come uomo, ho provato a comprendere (e persino ad accettare) le ragioni di tali paure. Ciò che mi turba in modo inaccettabile, invece, è quell’eccesso di timori che porta non solo a non essere liberi di esprimere la rabbia e la contrarietà a fatti o a persone, ma persino a manifestare gesti riverenziali inopportuni ed inappropriati.
La libertà è una conquista che molto spesso fa pagare un prezzo altissimo, ma che restituisce quella dignità che la schiavitù ti toglie come persona, che ridona un senso di pace e di serenità che vale molto di più di qualsiasi altra cosa.
Ancora una volta, provo a “calarmi” nei panni di chi non se la sente di pagare quel prezzo, di chi vive un disagio che non gli consente di rinunciare neppure alle promesse di gente priva di scrupoli che in quella riverenza legge “un numero”, un suddito dal quale poter continuare a pretendere in qualsiasi momento lealtà ed obbedienza, e provo ancora a comprendere, seppure non giustificando.
Il marcio sta “dall’altro lato”, è ovvio. Il marcio sta in chi costruisce il proprio potere sul bisogno dei suoi simili assoggettandoli proprio come sudditi, lasciando credere a chi “chiede” l’esercizio di un diritto che niente gli è dovuto, ma che gli è solo “concesso” per sua intercessione. Doppio peccato, dunque, per chi usa la propria posizione sociale o politica -ma anche solo culturale- per “uccidere” un diritto e “mortificare” una persona.
Il progresso e le conquiste sino ad oggi ottenute dall’uomo si sono sempre arenati sulla meta più nobile: il rispetto per gli altri.
Un giorno, una persona mi ha fermato per strada e mi ha chiesto: “Ma perché scrivi quelle cose senza senso? A cosa e a chi ti riferisci?”. L’ho guardata, ho sorriso e le ho risposto: “A niente e a nessuno… scrivo così, giusto per scrivere, perché non ho nulla da fare…”. Non mi è sembrato il caso di spiegare che in molte delle mie Riflessioni parlavo proprio di gente come lui, che leggeva molto in superficie, senza provare a “riflettere”, senza sentirsi mai in dovere di mettere in discussione chi fosse veramente il “bersaglio” di un pensiero espresso in un articolo o in una poesia. Ho persino pensato di non scrivere più, magari per la gioia di molti -certamente per la “tranquillità” di qualcuno-, ma alla fine ho scelto di non rinunciare a quel piccolo ritaglio di libertà che mi sono concesso, accettando di pagare il prezzo che questa scelta comporta, ma continuando a guardarmi ogni giorno con assoluta serenità nello specchio della mia coscienza.
“Riverenza”: rispetto, non schiavitù!
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