Quando “2+2″ faceva “4″…

Quando 2+2 faceva quattro, la parola d’ordine era “solo l’indispensabile”, non esisteva neppure ciò che oggi chiamiamo “indispensabile” mascherando molto spesso, con questo nome, ciò che è un semplice passatempo, un accessorio di moda per sentirsi “alla pari” con gli altri. Nel nostro dialetto questo “accessorio” viene spesso indicato come “nu chiurìtu”, un qualcosa di assolutamente non indispensabile per non dire “inutile”.
Mi raccontava mio padre, quando era ancora in vita, che anche le molliche di pane venivano accuratamente raccolte e mangiate, qualora ne cadessero sul tavolo o sul pavimento fatto di pietre. I fichi secchi erano molto spesso l’unico pasto della giornata e le verdure più accreditate in tavola erano la “cicoria selvatica” o i “cardoni” (i “parenti poveri” dei carciofi).
Erano i tempi dell’assoluto indispensabile, ben lungi dall’assolutamente indispensabile con cui oggi indichiamo qualsiasi cosa che ci piace un po’ più del normale. Poco, pochissimo, ma è bastato a farci crescere fino a farci arrivare ai giorni nostri passando attraverso un discreto periodo di benessere ben presto divenuto “apparente” ed oggi ritornato ad essere “inesistente”. Erano i tempi in cui 2+2 “doveva” fare per forza quattro e  senza imbrogli.
Oggi assistiamo molto spesso a tanti “2+2” che fanno “4” sulla carta a prescindere se nella realtà si tramutano in numeri decisamente più piccoli o sproporzionatamente più grandi. Bilanci che “devono” obbligatoriamente “quadrare” vengono sistemati accuratamente in modo che quel “2+2” porti alla fine sempre ad un “4” intervenendo con “magie” di “finanza creativa”, come spesso un Ministro della Repubblica indicava il suo modo di far quadrare i “conti” nonostante tutto.
Oggi, molto spesso, si fanno i conti con quanto si ha in Cassa e con quanto di deve andare a pagare, assommando “all’avere” anche quanto si “prevede” di incassare (che  siano previsioni di vendita o che siano previsioni di recupero crediti) e a fondo pagina, tirando la linea di conclusione del “bilancio” si scrive “a pareggio” la stessa somma in uscita con quella in entrata. “2+2”, praticamente, sulla carta deve fare sempre “4”; poi è relativo se le previsioni di vendita sono state fatte per eccesso, quelle di uscita per difetto e quelle di recupero credito messe nella colonna dei “miracoli”: la cosa che conta è che quel pezzo di carta rechi la scritta “saldo zero”.
Si, decisamente tempi diversi, dove  si mette un grande impegno per trovare le “formule” per far quadrare i conti sulla carta, ma tanta disattenzione e disinteresse per trovare “vere” risorse e per “tagliare” il superfluo, l’evitabile, l’ingiusto -talvolta-. E’ come se ogni soluzione reale sia sempre demandabile a chi se ne occuperà “dopo”, mentre nel frattempo ci si nutre di “superfluo” incuranti di quell’indispensabile che manca là dove i propri “eccessi” creano gli altrui bisogni.
Eravamo poveri di denaro, un tempo. Oggi lo siamo di cuore e di intelletto.

 

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