In questa Italia delle etichette, dove il solo essere nati in una specifica regione consente ad un giornalista di parlare di qualcuno come un “colluso con la ‘ndrangheta”, le sole risposte che si riescono a dare ad un gesto folle sono l’addossare la colpa agli altri, mai a se stessi.
Un uomo ben vestito spara davanti al Quirinale ferendo due carabinieri ed una donna a cui va piena solidarietà e gli auguri di pronta guarigione. “Volevo colpire i politici”, dirà successivamente, ma le immediate notizie che davano in Tv parlavano di una persona con disturbi mentali, “un calabrese” che per qualcuno diventa un “colluso con la ‘ndrangheta” appena vengono spazzate via le ipotesi della malattia mentale. Già, “un calabrese”. Non “Tizio o Caio” di quella specifica città italiana, ma l’immediata etichetta riservata a chi è nato per caso in Calabria o in Sicilia, due regioni tristemente note per la ‘ndrangheta e la mafia.
Ma il problema non è la regione di provenienza, né tantomeno si può addossare la colpa ad un movimento o ad un partito che protesta per come viene gestita la politica italiana (così come asserisce qualche deputato eccessivamente facilone). La verità è che la gente è esasperata, non ce la fa più, e non vede in questa classe dirigente e nel suo operare alcuna motivazione volta a rendere il Paese più vivibile, ma solo un continuare a curare i propri interessi personali o di partito, di casta, lobbyes o potentati.
Oggi tutti acclamavano il nuovo Governo a guida Letta a cui stanno guardando con interesse per una tanto sospirata, quanto improbabile, ricrescita economica per non affondare definitivamente. Solo qualcuno, vagando sul web, postava qualche articolo di analisi sui vari ministeri e sui ministri che ne hanno assunto la guida. Sicuramente saranno felici in tanti, ma che non ci si meravigli se ancora qualcuno mantiene il senno lucido e vede ciò che “quegli altri” non vogliono o non osano vedere, per convenienza o per timore.
Nessuno auspica una escalation di violenza nelle piazze, ci mancherebbe altro, ma che almeno non si vada alla ricerca di colpevoli “incolpevoli” di ciò che accade sotto gli occhi di tutti, e che si reciti un “mea culpa” quotidiano senza sentirsi immuni da responsabilità o migliori di chi occupa la sedia accanto. Un alunno che non impara non va giudicato privo di intelligenza e di capacità senza aver prima provato “settanta volte sette” ad insegnargli ciò che si ha il dovere di insegnare quando si sta dietro una cattedra.
L’episodio di oggi rafforza il Governo e rinsalda le fila, ma non ci si illuda che avere sconfessato tutte le dichiarazioni contro l’inciucio politico possa essere dimenticato o accettato da chi ancora crede nei valori a cui ha dedicato la propria vita. Destra e sinistra sono e devono (o dovrebbero) restare tali, e perciò non compatibili per governare insieme, per questo nessuno crede nei buoni propositi e nelle buone intenzioni, ma nell’ennesimo tentativo di continuare a mantenere lo status quo.
Non nasce sotto buoni auspici il Governo di Enrico Letta
Giancarlo Aspromonte > Riflessioni Spettinate > Non nasce sotto buoni auspici il Governo di Enrico Letta