Molto spesso, forse “troppo spesso”, si ha l’abitudine di “tendere le mani avanti per non cadere” (anche se non è detto che non si cada lo stesso) e/o di “lavarsi le mani” come il più ben noto Ponzio Pilato che, non avendo il coraggio e “le palle” (mi si passi il termine) per assumersi una responsabilità per lui troppo scottante, ha dato Gesù Cristo in pasto alla folla che -fomentata a dovere- ha scelto la liberazione di Barabba.
La storia si ripete, sempre. Basta distrarsi un attimo e invece che trarre insegnamenti dal passato, ci si ritrova a riviverlo -volenti o nolenti- a causa del “Ponzio Pilato” di turno che compie le scelte sbagliate affidando alla sorte le sue decisioni. La differenza è che, mentre all’epoca la scelta demandata alla folla era di ben ovvia interpretazione già dagli umori, e avrebbe prodotto, in ogni caso, un personale giovamento anche al Prefetto Pilato, oggi a portare quel giovamento è l’illusione della scelta, non la scelta stessa, che è solo teorica. E a dimostrare questo, interviene il primo proverbio citato, “tendere le mani avanti per non cadere”, che veste i panni dell’informazione al doppio scopo di “fingere interessamento” e di “lasciar trascorrere il tempo”, così che i “tasselli” del mosaico si posizionino al loro posto e diano origine al disegno originario, quello segretamente perseguito (anche se abbastanza palese).
Mi sono sempre domandato cosa fosse a muovere l’interesse verso il “sacrificio” umano (almeno così lo consideravo) a vestire i panni del “capo”, del politico… ogni carica, insomma, che mettesse nelle mani di quella persona la responsabilità di guidare una Nazione o una Città con i suoi abitanti, se già il solo pensiero di tale responsabilità è un carico morale non indifferente.
Ho sempre ricercato nelle mie risposte finalità “alte” e profonde (piccolo paradosso linguistico) che elevassero l’uomo a “padre” di una Comunità, e che -quindi- lo spingessero a sfidare se stesso e i suoi limiti per divenire un “campione” in quella disciplina tanto nobile. Ma mi accorgo -ahimè- che una cosa è “sognare”, immaginare la perfezione, altro è l’applicabilità, poi, in questa nostra realtà sempre più “viziata” da tentazioni e miseria intellettuale.
Ogni cosa viene interpretata come un’opportunità di arricchimento personale o di acquisizione di maggior potere senza mai badare al male che si procura ad altre persone, senza mai accennare ad un reale operare per il bene della collettività. Anche quando le apparenze giocano a favore dei Cittadini, in realtà sono il frutto di calcoli ben fatti per meglio perseguire i propri intenti. A poco serve il “fumo” che viene gettato negli occhi di chi osserva per spostarne l’attenzione da ciò che “non deve sapere” e in cui “non deve intromettersi”.
“A me gli occhi… A me gli occhi…”! E mentre se ne osserva “affascinati” il colore dell’iride, le proprie difese si annullano lasciando che le mani del “mago” continuino a sistemare i tasselli del suo mosaico…: chiunque sia il “mago”, qualsiasi cosa siano i “tasselli”, qualunque sia il “mosaico”.
“A me gli occhi… A me gli occhi!”
Giancarlo Aspromonte > Riflessioni Spettinate > “A me gli occhi… A me gli occhi!”