Per quanti sforzi siano stati fatti negli anni per abbattere vere e proprie barriere, quella del pregiudizio rimane una brutta cicatrice che attraversa il cuore e il cervello di molte persone tornando a sanguinare alla prima occasione.
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Sanguina quando per strada si incontrano due ragazzi che si tengono per mano, quando si osserva una ragazza del proprio paese abbracciata ad un giovanotto di colore, quando un giovane medico comincia la sua attività prendendo il posto del vecchio medico condotto andato in pensione… Ancora più triste quando il pregiudizio si vive verso un proprio congiunto per una sua diversità per la quale ci si vergogna e si teme il giudizio della gente. Ma che colpa può avere una persona nata con una disabilità evidente o sopravvenuta per malattia o per incidente? Perché sentirsi in imbarazzo se si sta spingendo una carrozzella, o se si sta tenendo per mano una persona che da sola non potrebbe muoversi da casa, o se per qualsiasi ragione si è rimasti vittime di una menomazione o di una particolare malattia?
Chi si scansa nel vedere un disabile, un ammalato o chiunque abbia una difficoltà, che sia permanente o temporanea, dovrebbe provare ad immaginare per un attimo la situazione a parti invertite, così da riuscire a comprendere chi realmente vive il disagio, sia fisico che morale.
È un problema culturale che si risolverà solo quando tutti prenderanno coscienza che solo in alcuni casi di conclamato rischio di contagio, come potrebbe accadere con il virus Ebola, bisogna attenersi a certe disposizioni mediche per evitare epidemie, e non sicuramente si deve cambiare strada quando si incontra un ammalato di cancro o di qualsiasi malattia certificata come non trasmissibile, un ragazzo gay, una persona di colore.
Per fortuna il mondo sta cambiando, perciò questa Riflessione Spettinata è rivolta ad una fetta minoritaria di persone, sebbene molte volte esse vivano nella stessa comunità e sembrino una moltitudine.