Artista poliedrico e “fuori dal coro”, Max Mazzotta è nuovamente al Cinema con un altro lavoro, “Fiabeschi torna a casa”, e questa volta in veste quadrupla: di questo film, infatti, ha scritto la sceneggiatura insieme a Giulia Steigerwalt, è il regista, ha composto la colonna sonora ed è l’attore principale.
Le sue qualità artistiche nascono praticamente già dalla sua infanzia, quando incantava e divertiva con la sua voce, con i suoi brani da cantautore in erba e con le sue performance divertenti con le quali intratteneva gli amici. E anche come attore e commediografo le radici risalgono a quel periodo, quando era già leader di un nutrito gruppo di “attori di strada” con i quali provava a realizzare in modo amatoriale il suo primo film.
Max, conservi un buon ricordo di quel periodo e di quel tentativo cinematografico in particolare?
“Tutto ciò che ha rappresentato il mio passato, a cominciare dalla frequentazione degli ambienti ecclesiali nei quali sono e siamo cresciuti un po’ tutti, ha avuto una grande importanza nella mia formazione umana e artistica. In quegli ambienti sono cominciati gli approcci con la musica. Tu stesso mi insegnasti qualcosa sulla chitarra. Anche quello che noi chiamavamo girare ‘un film’ è stato un momento importante, quasi premonitore, che mi preannunciava ciò che poi nel corso della vita, e fino ad ora, ho realizzato. La passione e la voglia di intraprendere questa strada nacque già allora.”
Man mano che procediamo in auto da Montalto a Cosenza, la sua voce comincia ad essere più rilassata. Ci conosciamo da più di trent’anni, ma entrambi eravamo in soggezione all’inizio. Le nostre strade si sono separate quando Max andò a studiare prima all’Accademia d’Arte Drammatica di Palmi, e poi, sotto la guida del grande Giorgio Streheler, alla scuola teatrale del Piccolo Teatro di Milano. Ricordo ancora quando, nel 1997, esordì nel cinema con il film “L’ultimo capodanno” di Marco Risi a cui poi seguirono tutti gli altri, le fiction e tanti lavori teatrali: come non essere emozionati? Un vecchio amico, è vero, ma pur sempre un personaggio!
Torniamo ai giorni nostri. So che la prima di “Fiabeschi torna a casa” è stata un vero successo. Te lo aspettavi?
“Diciamo che la partecipazione del pubblico e la sua approvazione sono sempre una grande incognita. Certamente si spera sempre nel pienone, ma allo stesso modo si teme il flop. Nel caso di ‘Fiabeschi torna a casa’ avevo previsto che ci sarebbe stato un discreto successo di pubblico, ma non mi aspettavo che al botteghino fosse quasi una ressa. Sono rimasto piacevolmente colpito dalla partecipazione non solo per il numero, ma anche per la qualità diversificata di pubblico. Bèh, sicuramente è stata una piacevolissima sorpresa…”
Tu sei molto legato anche al teatro, e anche qui nella doppia veste di attore e regista, talvolta triplice perché anche autore… Preferisci il cinema o il teatro?
“Il mio primo e vero amore è certamente il teatro. Quando sono tornato in Calabria, alla morte del maestro Streheler, ho fatto un Laboratorio all’Università della Calabria e da quello ho creato ‘Libero Teatro’ che è una realtà da quasi tre lustri e che mi ha permesso di operare sul territorio, di veder crescere altri ragazzi a cui ho insegnato quanto più possibile, soprattutto per il forte entusiasmo e la grande voglia di imparare. Un’esperienza bellissima che continua e che, mi auguro, mi porterà insieme a loro a realizzare tanti altri lavori teatrali.”
Max, spesso ti vedo in qualche fiction televisiva. Che progetti ci sono per il prossimo futuro?
“Per il momento sto preparando ‘Pinocchio’ rivolto ad un pubblico di bambini. Da quando sono diventato zio mi è venuto questo desiderio di fare qualcosa per loro e ci sto mettendo anima e corpo, sebbene non avrei mai immaginato di lavorare a qualcosa del genere. Per quanto riguarda cinema e televisione, in questo momento non sono parte dei miei programmi: ‘Fiabeschi torna a casa’ è ancora fresco di sala, adesso non voglio pensare al cinema. Mi sto concentrando su questo lavoro per i bambini e poi spero di mettere mano alla produzione di un Brecht, sperando che questa crisi si possa superare in fretta perché il settore ne risente fortemente.”
Un’ultima domanda: Enrico Fiabeschi, che poi è uno dei personaggi nati dalla matita del fumettista Andrea Pazienza, lascia Bologna e torna a casa, in Calabria: lo fa per l’attaccamento alla sua terra, o per altre ragioni?
“Fiabeschi ripete più volte, nel film, che la casa la portiamo dentro di noi, che anche ciò che rappresenta le nostre origini ci accompagna ovunque, non ci lascia mai proprio perché dimora dentro noi stessi. Il sentirsi appagati, sereni, non è determinato da un luogo fisico dove in effetti neppure egli stesso trova la sua dimensione, la sua identità, ma dalla profonda ricerca dentro se stessi e dal ritrovarsi dentro se stessi. E’ la classica crisi esistenziale che la maggior parte degli individui attraversa nel corso della vita, aggravata dalle difficoltà sociali ed economiche del nostro tempo che impediscono anche ai quarantenni di realizzarsi, di trovare una propria dimensione nella società facendoli sentire dei falliti. Fiabeschi incarna un disagio molto diffuso, soprattutto qui al sud, in un film tutto sommato divertente che descrive i luoghi e le genti per quello che sono, senza togliere o aggiungere nulla.”
Una calorosa e ancora emozionata stretta di mano mi congeda da Max Mazzotta e dalla sua grande disponibilità per questa intervista. Lo vedo allontanarsi a passo veloce, pronto a reimmergersi senza risparmiare energie in quello che per lui è stato un sogno sin da bambino e che oggi rappresenta la sua realtà. Ad Majora, Max!