“C’erano una volta in una città un re e una regina, che avevano tre figlie bellissime. Le due più grandi, anche se molto belle, si poteva riuscire ad esaltarle con parole umane, mentre la bellezza della più giovane era così straordinaria, così fuori del comune che il linguaggio umano appariva insufficiente e povero non solo a descriverla, ma anche solo a lodarla…”.
Così comincia quest’opera -perché di opera si tratta- che è densa di poesia pura, seppure in prosa, in un racconto che sa di favola per taluni versi, ma che è la metafora per eccellenza dell’essenza della vita dell’uomo. Metafora scritta in metafore che si snocciolano, una dopo l’altra, lasciando quel gusto colmo di approvazione ogni qual volta le si comprendono in prima lettura e, quasi inevitabilmente, diventano specchio delle nostre emozioni, dei nostri errori, del nostro carattere, del nostro “io”.
Non mi sono mai pentito di quanto a scuola abbia scelto di fare il minimo indispensabile a causa del mio carattere ribelle contro le sfaccettature negative dell’ambiente scolastico, ma alcune volte, come in questo caso, mi duolgo di non aver studiato come si deve.
Come ho potuto non leggere mai quest’opera? Eppure, le sue parole scorrono con un’incredibile leggerezza e lasciano un profumo di “vita” dentro la mente e dentro al cuore che ha dell’inverosimile!
E’ proprio vero, dinanzi ai “classici”, occorre solo fare un inchino, poiché quando ancora il mondo cominciava ad approcciarsi alla cultura, esistevano già uomini che erano fatti di cultura, uomini che, per scrivere tanta poesia, dovevano anch’essi essere poesia.
Grazie, mia anima, per aver reso possibile questo momento di sublime lettura: ci arricchiamo entrambi ed entrambi, cuore e mente, comprendiamo.
(lunedì 2 luglio 2012 alle ore 17.36)