Urne chiuse, primi exit poll e via alla maratona televisiva di tutte le reti (stranamente Mediaset in ritardo…).
Dai primi dati emerge chiara una cosa: è aumentato l’astensionismo, quello messo in atto da coloro che non erano contenti del partito di sempre e hanno scelto di non votare, piuttosto che “tradirlo”.
La mia Calabria sembra essere stata la Regione con meno affluenza al voto e -considerato come è stata vista la scelta dei candidati- la dice alquanto lunga sulla mia teoria di prima. E’ vero, non ne capisco gran che di politica (e nemmeno ho voglia di capirne di più, almeno non di “questa” politica), ma ho sentito più di una persona affermare che non si sentiva rappresentata dal suo partito e per questo non andava a votare. E’ una scelta legittima, per carità, ma che io non condivido affatto: mai “turarsi” il naso o evitare il voto, c’è sempre un’alternativa se si è disposti a non farsi prendere dall’emotività verso “l’amore di una vita”. Cambiare non è disonorevole quando “disonorevole” lo diventa l’eventuale permanenza in un partito che non dovesse più rappresentarmi nei fatti, seppure continui a manifestare le mia stesse idee.
Ma per un’analisi più precisa bisogna aspettare di avere i risultati reali nella loro globalità: ogni tentativo di interpretazione che vada oltre l’astensione in aumento potrebbe subire capovolgimenti.
L’unica cosa che mi viene di dire è “che Dio ce la mandi buona”!
“Che Dio ce la mandi buona…!”
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