“Colonizzati” da noi stessi.

Eccellenze italiane, marchi e prodotti imitati in tutto il mondo sono la prova evidente che la “parola” italiana (oltre che la bontà del prodotto) viene letta, capita e ricercata all’estero fino al punto di imitarla, che si tratti di Europa, di Asia o di Americhe.
In Italia, da perfetti “Bastian contrari”, cerchiamo a tutti i costi di rendere “all’inglese” ogni parola, ogni tecnicismo, ogni piccola frase; lo facciamo persino con le insegne e con i marchi aziendali, nella profonda convinzione -evidentemente- che esportando poi all’estero si abbia più fortuna, o che sia sufficiente questo “accorgimento” per rendere “internazionale” un’azienda, un prodotto, un’idea.
Mi domando il perché non si provi e si insista, invece, a rendere merito alla lingua che -per quanto sotto lo stesso “tetto” di una politica e di un’economia sempre più in decadimento- rimane perfetta e precisa nella sua grammatica e nel significato praticamente univoco delle parole, tanto da suscitare invidia, stimolo ed imitazione praticamente in ogni nazione del mondo: l’Italiano!
Ho sempre la sensazione che, non essendo comprensibile per tutti, venga usata la terminologia inglese -soprattutto in politica e in economia- per “spaventare”, quasi, e per mettere in soggezione la gente comune e chi si lascia semplicemente affascinare perché affetto da un’esterofilia sempre più dilagante.
Non siamo più neanche capaci di valorizzare la nostra lingua -non ne siamo neppure interessati, invero-, figuriamoci se potranno mai essere valorizzati i tanti “cervelli” e le tante “eccellenze” -ed ecco che giustamente scelgono la loro realizzazione professionale all’estero, dove li aspettano a braccia aperte-, oltre che le “idee” e la “cultura” italiana.
Ci stiamo facendo “colonizzare” -e incredibilmente per mano di noi stessi- da una lingua straniera: a quando da una nazione? Viste le vicende più o meno recenti, me ne sarebbe venuta in mente una… ma per fortuna in quella nazione si parla il tedesco…!