“Si chiude una porta e si apre un portone”. Questo “detto” l’avrò ascoltato centinaia e centinaia di volte da persone più grandi di me che così provavano a rincuorare chi decideva di dire “basta” a qualcosa. In questi giorni me lo sono sentito ripetere tante volte -e non solo da persone anziane- nel tentativo affettuoso di incoraggiarmi a credere che ancora sia possibile un “futuro”, lavorativamente parlando. Io ringrazio sempre e cerco di sorridere lasciando credere, persino a me stesso, che sia davvero possibile trovare qualcosa da fare, un lavoro che possa garantirmi almeno la sopravvivenza, ma in cuor mio questa speranza mascherata da certezza ha un volto un po’ più cupo, più “incredulo”, più rassegnato.
Non sento altro che notizie poco confortanti sui dati della disoccupazione, annunci di licenziamenti, di chiusure di attività commerciali, artigianali ed industriali… e come si fa a mantenere viva la speranza che possa esserci “futuro” per chi, come me (e siamo davvero un esercito) è alla soglia dei cinquant’anni?
Persino nell’ambito culturale, ormai, vengono messi i “paletti” dell’età -oltre che nei Concorsi e negli annunci per un posto di lavoro-: sorridevo mentre passava sulla RAI lo spot di un concorso letterario aperto a persone comprese tra i 18 e i 39 anni… Ma come, anche per chi scrive c’è il limite d’età? Se più giovani non si sa ancora scrivere e se più vecchi non si sa scrivere più? Ci rendiamo sempre più ridicoli e sempre più inosservanti della Costituzione che non dice in nessun articolo che l’eguaglianza è data solo a chi rientra in una certa fascia d’età. Perché mai non dovrebbe esistere la stessa possibilità per un cinquantenne quando si indice un concorso, di qualunque natura esso sia?
Ma a disattendere l’articolo 3 della Costituzione sono primi fra tutti i nostri governanti, come si può pensare che poi non lo facciano altri, in altri ambiti?
Ai precari della Pubblica Amministrazione che non si riusciranno a stabilizzare probabilmente verrà data la possibilità di andare in pensione con le regole in vigore prima della riforma Fornero: benissimo, una scelta che consente comunque di non mortificare chi ha lavorato tanti anni senza certezze per il futuro. Come mai, però, non viene data la stessa possibilità nel privato, a chi perde il lavoro o chiude un’attività? O anche di attingere a forme di ammortizzatori sociali che gli rendano sostenibili i giorni a venire? No, addirittura si viene considerati (per gli autonomi) “inoccupati”, perciò privi delle tutele -poche, invero- poste in essere per chi, invece, diventa disoccupato perdendo il posto di lavoro (cassa integrazione, mobilità, ecc…).
Siamo in una situazione tale che quei “portoni” di cui parla il detto citato all’inizio difficilmente potranno aprirsi, almeno non per tutti coloro che sono costretti a dire “basta” a qualcosa nella propria vita, soprattutto quando si tratta di lavoro. E di questo -anche di questo- la colpa è al 90% della classe politica e dirigente che non ha saputo, negli anni, comprendere il ruolo che avevano assunto, travisandolo a proprio esclusivo vantaggio e ignorando il danno irreversibile che avrebbero provocato.
“Si chiude una porta…” e verosimilmente si resta fuori, altro che “un portone” che si apre…!
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la mia risposta, era una provocazione. Condivido , tutti se ne dovrebbero andare, ripulire e ripartire e rifare un sistema politico…. pulito….
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” si chiude una porta, ma si apre un portone” frase spesso sentita sull’affettività . Ma, visto che Berlusconi, ritorna in campo , tanti rivotandolo, crederanno in un’Italia migliore, piena di occupazione e nuovamente di tanti sorrisi sulle facce…… ecco… l’apertura del portone.!!!!!
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Purtroppo è vero per i lavoratori autonomi lo stato non prevede nessun ammortizzatore sociale , e, sicuramente non è affatto una cosa giusta , in quanto lo stato ha due mani , una lunga quanto si tratta di ricevere , un’altra corta quanto si tratta di dare . Sicuramente una cosa da cambiare , in quanto si lascia completamente senza tutela e allo sbaraglio chi purtroppo è costretto a cessare un’ attività